Viaggi con Charley alla ricerca dell’America
di John Steinbeck, 1962
Quando ero giovane e avevo in corpo la voglia di essere da qualche parte, la gente matura m’assicurava che la maturità avrebbe guarito questa rogna. Quando gli anni mi dissero maturo, fu l’età di mezzo la cura prescritta. Alla mezza età mi garantirono che un’età più avanzata avrebbe calmato la mia febbre. E ora che ne ho cinquantotto sarà forse la vecchiaia a giovarmi. Nulla ha funzionato. Quattro rauchi fischi della sirena d’una nave continuano a farmi rizzare il pelo sul collo, e mettermi i piedi in movimento. Il rumore d’un aereo a reazione, un motore che si scalda, persino uno sbatter di zoccoli sul selciato suscitano l’antico brivido, la bocca secca, le mani roventi, lo stomaco in agitazione sotto la gabbia delle costole. In altre parole, non miglioro. Vagabondo ero, vagabondo resto.
Un autore premio Nobel per la letteratura che cerca di riappropriarsi della propria ispirazione, gli antichi pionieri e un barboncino francese di nome Charles le Chien, detto “Charley”. Con loro, protagonista indiscussa del romanzo è l’America di New York, quella solitaria del New England fino al Canada, delle Rocky Mountains, della California, del Texas e della Louisiana, attraversata su un vecchio furgone donchisciottesco ribattezzato, non a caso, “Ronzinante”. Steinbeck racconta un viaggio iniziato il 23 settembre 1960 e durato tre mesi, in cui vengono percorsi circa 10.000 km e attraversati 33 stati. Un reportage che affronta tematiche sempre attuali, quali il consumismo, il razzismo, l’immigrazione, la solitudine, il cambiamento. Un libro coinvolgente, appassionato, in cui non mancano pagine tenere e riflessive. Un must per gli amanti dell’avventura e i vagabondi di tutto il mondo… ma anche per chi si accontenta di viaggiare solo con la fantasia! 🙂
Una volta che il viaggio sia programmato, attrezzato e avviato, subentra un fattore nuovo, e predomina. Un viaggio, un safari, un’esplorazione, è un’entità, diversa da ogni altro viaggio. Ha personalità, temperamento, individualità, unicità. Un viaggio è una persona a sé; non ce ne sono due simili. E sono inutili progetti, garanzie, controlli, coercizioni. Dopo anni di lotta scopriamo che non siamo noi a fare il viaggio; è il viaggio che “fa” noi. Guide, orari, prenotazioni, inevitabili e rigidi, vanno diritti a naufragare contro la personalità del viaggio. Solo quando abbia riconosciuto tutto questo, il vagabondo “in vitro” può abbandonarsi e accettare la realtà. Soltanto allora cadono le frustrazioni. In questo, un viaggio è come un matrimonio. La maniera sicura per sbagliare è credere di tenerlo sotto controllo. Ora mi sento meglio, perché l’ho detto, anche se lo capiranno solo quelli che l’han provato.
John Steinbeck, Viaggi con Charley alla ricerca dell’America, L. Sampietro (a cura di), Bompiani, Milano, 2017 [1962], pp. 272
Lascia un commento