Quando arriviamo ad Húsavík, nel nord dell’Islanda, sono da poco passate le tre del pomeriggio, ma è difficile da dire. È estate e questo è il periodo del “sole di mezzanotte”: il sole, anziché tramontare, ristagna sull’orizzonte, stiracchiando le giornate.
In pratica, si perde il senso del tempo e si fa presto a scambiare quella che dovrebbe essere la sera per la mattina e viceversa.
Non aiuta di certo a scandire il giorno neanche la calma che ovatta la cittadina e i dintorni, dove i campi sono punteggiati da pecore oziose, immobili pennellate bianche che si risparmiano ogni movimento, ad eccezione di quello della mandibola, snodata in una costante ruminazione.
Abbiamo già percorso metà della Ring Road (per l’itinerario completo puoi curiosare qui), in senso antiorario, eppure l’alternarsi di campi verdi, colate laviche e masse ghiacciate non ci ha ancora stancati.
Parcheggiamo il van di fronte ad un negozietto di souvenir. Sembra essere ben fornito: dalla porta di ingresso si intravedono mensole e pareti su cui campeggiano tazze, calamite, maglioni tradizionali dalla dubbia autenticità (se non sai di cosa sto parlando devi leggere questo articolo), magliette e peluche.
È piuttosto tiepido, per gli standard locali; perlomeno il vento non soffia impetuoso ed è una conquista, considerando la ragione per la quale siamo qui.
Comunque, se la strada che taglia a metà la città è semideserta, la vita brulica alle nostre spalle: il porto è in piena attività, sono diverse le imbarcazioni in arrivo o in partenza. È uno dei crocevia più importanti dell’isola, nonché uno dei luoghi islandesi in cui la pesca è particolarmente fruttuosa: ad essere ormeggiati sono, infatti, perlopiù modesti pescherecci. Ma non solo. Accanto ai ponti ingombri di reti e lenze, ci sono scafi ben diversi: barche a vela, gommoni, traghetti; piccoli vespai in cui gli equipaggi si adoperano a slegare gomene, manovrare timoni, aiutare i passeggeri a sistemarsi da poppa a prora, tutti con lo stesso obiettivo: salpare il prima possibile per non perdere l’opportunità di avvistare i grandi cetacei.
Sì, perché Húsavík è soprannominata “capitale mondiale” del whale watching. La sua ubicazione – la baia di Skjálfandi, su cui la cittadina si affaccia, costituisce una garanzia di cibo per le balene, che dunque fanno del fiordo il loro ritrovo – e il mix di correnti calde e fredde che si mescolano fanno sì che le sortite abbiano sempre successo.
Ma noi non siamo così ottimisti (la legge di Murphy, nel nostro caso, raramente fa cilecca).
Ci incamminiamo sul molo con gli occhi che brillano (ottimisti no, ma speranzosi sì), diretti verso Náttfari, l’imbarcazione governata dai ragazzi di North Sailing che abbiamo scelto per quest’avventura.
Leggenda vuole che Náttfari (letteralmente “colui che viaggia nella notte”) fosse uno schiavo di Garðar Svavarsson, uno svedese facoltoso sposato con una donna delle Isole Ebridi. Un giorno Garðar partì per reclamare l’eredità del suocero, ma fu sorpreso da una tempesta che gli fece perdere la rotta, spingendolo molto più a nord. Quando approdò, si rese conto di essere giunto su una nuova terra. Era un’isola, cui diede il nome di Garðarshólmi, “Isola di Garðarr” (come avrai già capito, era l’Islanda). Sbarcò a Skjálfandi (sì, proprio a Húsavík), dove costruì una casetta che riparò lui e il suo seguito per tutto l’inverno. In primavera ripartì per le Ebridi e fu allora che Náttfari riuscì a fuggire. Si nascose e, quando il padrone era ormai lontano, uscì allo scoperto e si stabilì a Náttfaravík, di fronte a Húsavík, diventando il primo abitante permanente dell’Islanda (se ti interessano folklore e leggende, in particolare quelle nordiche, non puoi lasciarti sfuggire l’Atlante leggendario delle strade d’Islanda!).
Oltre al nome che porta, anche la storia della nostra barca ha qualcosa di leggendario: nacque per la pesca delle aringhe, ma venne dismessa negli anni ’90 del secolo scorso e lasciata a marcire a Reyðafjörður, nell’Islanda orientale, fino a quando non è stata rilevata, restaurata pezzo dopo pezzo e rimessa in mare con una nuova veste.
Quando siamo tutti a bordo, i ragazzi e le ragazze di North Sailing distribuiscono a ciascuno delle pesanti tute termiche che ci fanno assomigliare a tanti fagotti.
Il gruppo è numeroso, ma attento: prendiamo posto, guadagnando il parapetto, mentre ci vengono date direttive sulla sicurezza e istruzioni sulla traversata.
Il capitano, una giovane che parla con tono amichevole ma deciso, ci ricorda che vedere i cetacei non è scontato. Non siamo in un parco acquatico e dobbiamo essere consapevoli che sarà la natura, imprevedibile, a decidere per noi. Se dovessimo scorgere qualcosa, sottolinea, ci avvicineremo, ma ad una distanza tale da rispettare l’animale.
L’Islanda non è come la Norvegia, in cui, negli ultimi anni, è scoppiata una vera e propria “corsa alla balena”, scatenando una concorrenza selvaggia e spietata tra i tour che ne sponsorizzano l’avvistamento, spesso insensibili al benessere degli animali.
Qui, viceversa, si sta cercando di salvaguardare i cetacei il più possibile.
All’epoca in cui risale questo racconto – il 2022 – l’Islanda è uno dei pochi Paesi al mondo in cui è ancora praticata la caccia alle balene. Eppure si era già capito che queste avrebbero potuto costituire una fonte maggiore di introiti da vive, piuttosto che da morte. Lo scorso giugno il governo ha sospeso la pratica fino alla fine di agosto, per poi riprenderla a settembre.
Non resta che sperare in un divieto definitivo.
Il discorso del capitano, insomma, ci piace e lo condividiamo. D’altronde, anche nell’eventualità in cui non dovessimo avvistare nulla, la navigazione in sé vale la pena: siamo al largo del mar di Groenlandia, circondati dai puffin – le famose pulcinelle di mare –, a pochissima distanza dal Circolo polare artico. Chiedere altro sembrerebbe voler approfittare della fortuna.
Durante la prima mezz’ora siamo tutti concentrati sulle onde e sugli spruzzi di schiuma e due falsi allarmi tengono vive le nostre aspettative. Ma più le lancette corrono, più le speranze scemano.
Rabbrividendo, mi accoccolo un po’ di più nella tuta termica, poiché nel frattempo le temperature sono scese. Ale si è spostato sull’altro lato della barca e continua a tenere gli occhi aperti.
Uno scossone improvviso mi fa drizzare in piedi e intorno i nostri compagni di viaggio si fanno agitati: chi guarda a destra, chi a sinistra, chi sgomita. Ale si affretta verso di me, con uno sguardo che non lascia adito ad interpretazioni: «L’hai vista?». Non fa in tempo a chiedermelo, con un sorriso a trentadue denti, che di nuovo la barca accelera con un balzo in avanti. Ma questa volta sono preparata. Mi volto e ricomincio a scandagliare anche io l’orizzonte con ritrovata fiducia.
E così, in barba ai pronostici (e, per una volta, alla legge di Murphy!), ad un centinaio di metri, eccola.
Non immaginare le balene di Cape Cod, Massachusetts (USA), che saltano fuori dall’acqua in tutta la loro imponenza. In Islanda le balene azzurre sono di passaggio solo raramente. È più comune avvistare le balenottere minori o le megattere – anche loro potrebbero riservarti qualche equilibrismo, ma in minor misura –.
Se hai letto Moby Dick, di Herman Melville, o visto il film che ne è stato tratto con Gregory Peck, sono sicura che anche tu avresti avuto l’irrefrenabile istinto di urlare “Soooooffiaaaaaa”, come il capitano Achab. Beh, io l’ho fatto – complice il vento, che ha coperto quello che dicevo –. 🙂
Vedere a poca distanza lo sbuffo del respiro della megattera dallo sfiatatoio è una delle cose più emozionanti che mi siano capitate.
Ci siamo sentiti privilegiati e in fondo lo siamo stati perché la natura ha voluto farci un regalo.
Come si può spiegare la sensazione di estrema libertà che trasmette l’immagine davanti ai nostri occhi? Come si possono descrivere la tenerezza e la gioia con cui un animale di quelle dimensioni, tra l’altro sempre più a rischio a causa dell’uomo, gioca con le onde?
Scattiamo qualche foto, per provare a “fissare” quello che ci sta capitando, ma smettiamo presto: alcune cose si imprimono meglio semplicemente vivendole.
L’esemplare ci fa compagnia per un po’, soffiando e mostrandoci la coda.
Ben presto non è il solo: qualche focena e altre megattere si affacciano dalle onde, a volte molto molto vicine. Una megattera, in particolare, sale a prendere aria a pochi metri dalla Náttfari, per poi passarvi sotto. Più al largo, un branco di delfini si esibisce in saluti acrobatici. Uno spettacolo meraviglioso.
Quando si accosta un’imbarcazione più piccola, il nostro capitano decide di lasciarle spazio. Abbiamo visto abbastanza e siamo tutti assolutamente soddisfatti, non è necessario infastidire oltre i nostri amici marini.
Per rendere più dolce il rientro, però, la ciurma ci offre delle tazze bollenti colme di cioccolata calda accompagnate dalle kanelbullar, girelle alla cannella svedesi, ampiamente diffuse nell’intero nord Europa.
Torniamo sulla terra e, sorridendo, prima di rimetterci in viaggio, guardiamo l’orizzonte, verso le balene, con il cuore traboccante di gratitudine.
LO ZAINETTO DI KALIPÉ
- Libri: Moby Dick, Herman Melville
- Cappello, guanti
Sonia B.
L’ attesa non è stata vana.
Bel racconto