Una delle esperienze più avventurose in Lapponia? Fotografare orsi bruni in libertà!
Se qualcuno mi chiedesse quale esperienza di viaggio, tra quelle vissute fino ad ora, mi ha segnata più di tutte, non farei fatica a rispondere: fotografare gli orsi bruni a due passi dalla Lapponia finlandese. In questo post proverò a spiegarti il perché.
A spingere affinché organizzassimo un viaggio in Lapponia è stato Alessandro. Come saprai, è appassionato di fotografia naturalistica e la Finlandia, per gli amanti della natura, è un paradiso. Perciò, prima ancora di comprare i biglietti aerei, Ale si è messo all’opera e ha studiato siti, riviste, libri, blog (eccetera eccetera) per capire cosa/come/dove fotografare. E quando è venuto a chiedermi se mi sarebbe piaciuto trascorrere una notte in un capanno fotografico per tentare di immortalare gli orsi che popolano il confine tra la Finlandia e la Russia, sono saltata sulla sedia e ho risposto immediatamente di sì. Vedere un orso in libertà era un mio sogno da tempo… quale migliore occasione?
A niente, quindi, sono valsi i tentativi di riportarmi con i piedi per terra: saremmo partiti a fine settembre, con l’inverno alle porte, e la possibilità concreta di pagare una cifra non proprio economica per fare solo un buco nell’acqua era alta. La riuscita della “spedizione”, insomma, non era affatto scontata, ma io ero ormai troppo entusiasta per riuscire a placare le mie aspettative.
Karhu-Kuusamo
Si contano diversi luoghi, nelle regioni boreali, in cui sono state allestite aree di avvistamento per la fauna selvatica. Sono particolarmente note le zone di Kainuu e Kuhmo, abitate anche dal lupo grigio e dal ghiottone. Per ragioni logistiche (il nostro itinerario, ad anello, partiva da Rovaniemi per toccare Capo Nord, in Norvegia, e poi tornare indietro; qui puoi trovarne un piccolo assaggio), abbiamo optato per Kuusamo, dove siamo arrivati nel primo pomeriggio di una giornata tiepida e tersa. L’appuntamento con Pekka, il responsabile dei capanni con il quale avevamo preso accordi, era nel cuore del bosco, alla fine di dodici chilometri di saliscendi in mezzo al nulla.
Neanche a dirlo, in quella zona i telefoni non prendono e la minaccia di mia madre di rivolgersi alla Farnesina qualora non avesse avuto mie notizie entro la sera del giorno successivo ha iniziato a tornarmi alla mente in modo sempre più insistente. Ne sarebbe stata più che capace.
Nel bosco
La prima cosa che mi ha colpito appena arrivati all’incontro è stato il silenzio. Il bosco si apriva per dare spazio a una spianata erbosa dove avremmo lasciato le auto. Intorno a noi si estendevano alberi a non finire ed era forte la sensazione che l’essere umano più vicino fosse, in realtà, parecchio distante.
È durata poco, però, perché Pekka è arrivato, puntualissimo, accompagnato da una coppia irlandese con un bambino di circa 7-8 anni. I visi di tutti erano emozionati e carichi di attesa.
Le istruzioni dateci sono state semplici: avremmo dovuto prendere tutta l’attrezzatura, acqua, cibo… insomma, ogni cosa necessaria; l’indicazione categorica, infatti, era di non lasciare i capanni, per nessun motivo, fino alla mattina dopo.
Finalmente ci siamo incamminati lungo un sentiero nel bosco, per trovarci, dopo aver scollinato, di fronte ad un paesaggio meraviglioso: una vasta radura acquitrinosa protetta da betulle su tutti i lati, a poca distanza dal confine russo. Si potevano scorgere anche i capanni fotografici: tre più “classici”, in assi di legno e lamiera, uno molto più simile ad un alloggio, con tanto di letti, cucina, bagno, illuminazione e, su tutto, il riscaldamento. Non nego di aver sperato che fosse destinato a noi; sarebbe stato certamente più confortevole passare la notte al riparo di un tetto vero. Ma, come è giusto che fosse, Pekka ha preferito assegnarlo alla famiglia con bambino al seguito, che aveva di sicuro più esigenze di noi.
Il capanno
Sistemati loro, quindi, io e Ale siamo stati guidati verso la struttura poco distante, dall’aspetto molto meno accogliente. Questo capanno era dotato di un unico ambiente sviluppato in lunghezza, al quale si accedeva da una piccola anticamera con bagno a secco (se non sai cosa sia, ti consiglio di fare una ricerca on-line… ti farai una grassa risata alle nostre spalle!). Al posto delle finestre c’erano i fori per far passare le macchinette fotografiche, due binocoli, qualche sedia, lampade a batteria e un materasso da campeggio buttato in un angolo sul pavimento.
Nonostante Pekka ci avesse avvisati che le temperature sarebbero scese parecchio, Ale conferma l’intenzione di pernottare e chiede di poter tornare alla macchina per recuperare un obiettivo che aveva dimenticato (alla faccia di tutte le raccomandazioni iniziali!). Io, intanto, me ne rimango in silenzio, sconfortata dal paragone tra l’altro capanno – che equivaleva, in quella situazione, all’Hotel Excelsior – e il nostro. In attesa di Pekka e Ale, chiusa dentro dall’esterno a doppia mandata, mi accorgo di non essere sola e il mio scoramento si acuisce ancora di più: un topolino stava tranquillamente zampettando sul materasso su cui avremmo dormito, incurante di me.
Di ritorno, Ale mi trova, quindi, con la faccia funerea e, quando Pekka ci saluta augurandoci buona fortuna e lasciandoci sette sacchi a pelo e altrettante coperte, gli viene quasi da ridere.
Decido di non perdermi d’animo: in fondo ero preparata a quello che avremmo trovato e, anzi, ero stata io ad insistere per non cambiare i piani quando, per un attimo, Alessandro era sembrato intenzionato a farlo.
Era quello che volevo, come me lo aspettavo e, adesso che avevo superato il disagio della prima ora, iniziavo ad apprezzare quello che stava succedendo. Eravamo immersi nella natura, con nessuno a disturbarci, e, orsi o non orsi (Ale, con l’ottimismo che lo contraddistingue, continuava a ripetere che non ne avremmo visto neanche mezzo), era già tutto perfetto.
Invece…
Un’emozione incredibile
Mentre ancora ci stiamo organizzando, iniziano a tremarmi le gambe. Per la seconda volta nel giro di pochi minuti, divento incapace di proferire parola. Strattono Alessandro per la maglietta, invano: continua a tirare fuori dallo zaino macchinette, obiettivi, telecomandi, batterie, varie ed eventuali, troppo concentrato per accorgersi dei miei tentativi di attirare il suo interesse. Non credo ai miei occhi, ma riesco a farmi uscire un minimo di fiato e, senza dare in escandescenze, anzi, scandendo addirittura il suo nome, riesco a chiamarlo. Si volta e quasi lascia cadere il materiale fotografico per lo stupore.
Dalla parte opposta rispetto a noi, sul limitare del bosco, era comparsa un’orsa adulta seguita da due orsacchiotti, palle di pelo con le zampe.
È impossibile spiegare a parole la miriade di emozioni che abbiamo provato in un istante. Sorpresa, gioia, timore, esaltazione. E pensare che eravamo convinti (Ale era convinto) che non avremmo avvistato nulla! I cuccioli, poi, sono stati un regalo assolutamente inatteso e impagabile. Ci siamo sfogati a fotografarli e, soprattutto, ad osservarli: quanta tenerezza mentre scorrazzavano tra giochi e dispetti sotto lo sguardo vigile della mamma! Rimanendo a distanza, ci hanno fatto compagnia per un’oretta, per tornare infine ad inoltrarsi nel bosco.
Increduli, io e Ale ci siamo guardati negli occhi, senza parlare. Era stato tutto così immediato da non darci il tempo di metabolizzare lo spettacolo al quale avevamo appena preso parte.
I nostri vicini, nel frattempo, evidentemente soddisfatti, avevano ripreso la via di casa scortati da Pekka.
Questa volta eravamo davvero soli.
L’attesa viene ripagata
Per una mezz’ora siamo rimasti inerti. Avevamo paura di disturbare l’equilibrio della foresta, con il sole che iniziava a sfiorare le cime degli alberi e il sottofondo del cinguettio degli uccelli.
Solo un vento freddo e fastidioso si è levato per guastare l’atmosfera; vento che non faceva fatica ad insinuarsi nel nostro “rifugio”, data la presenza dei numerosi varchi per gli obiettivi fotografici di cui vi ho accennato prima. È stato l’unico momento, durante il soggiorno in Lapponia, in cui ho davvero patito il freddo, nonostante i diversi strati di vestiti termici che indossavo mi rendessero simile all’omino della Michelin.
Così come era venuto, il vento si è placato all’improvviso a metà pomeriggio.
Intirizziti, ma con la speranza non ancora sopita, continuiamo a guardare fuori: di tanto in tanto due aquile dalla coda bianca ci regalano la loro presenza e, intorno alle 17.30, fa capolino una volpe dal bel manto invernale (ma troppo lontana per essere fotografata).
Ma anche qualcos’altro si muove.
Non faccio in tempo ad indicare ad Alessandro il ritorno dell’orsa con i due piccoli, che subito ne arriva una seconda, seguita da ben quattro orsetti. Le due mamme non sembrano felici di trovarsi nello stesso territorio: rimangono a distanza, studiandosi con i denti scoperti.
Nel giro di pochissimo, fanno contemporaneamente il loro ingresso, da diversi punti della foresta, alcuni esemplari di maschi. Subito le orse appianano le rivalità e fanno squadra per proteggere i piccoli, che si stringono impauriti l’uno all’altro. La tensione che corre tra gli animali la avvertiamo anche noi. I cuccioli si lamentano e i tre meno coraggiosi si arrampicano sugli alberi lì da presso.
Non è raro che gli adulti attacchino le cucciolate per motivi riproduttivi, ma mai nella vita avrei pensato di assistere ad un evento simile. Sembrava di essere finiti in un documentario firmato National Geographic!
Le orse, comunque, sanno difendersi bene. Ringhiano, mugugnano, tirano qualche zampata minacciosa e simulano alcune cariche. Ben presto rimettono i “ragazzi” al loro posto, con mia grande gioia (facevo il tifo per i sei piccoletti e Ale ha dovuto trattenermi perché mi sarei buttata nel mucchio per difenderli… o, più probabilmente, per finire sbranata).
A scontro concluso, visibilmente più rilassati una volta ristabilite le gerarchie, i sei adulti si dedicano alla ricerca di cibo, mentre i piccoli razzolano in giro. Ci circondano da ogni lato, con l’esemplare più vicino a meno di dieci metri.
Ascoltiamo nitidamente i loro grugniti che si perdono nello stormire delle foglie e ci godiamo la luce dorata del tramonto. Qualcuno di loro sembra registrare la nostra presenza perché si volta verso di noi, ma evidentemente non li disturbiamo perché continuano a mangiare.
Solo due episodi turbano l’armonia: 1) l’arrivo tardivo di un maschio adulto enorme, spaventoso, molto più grosso dei suoi simili e con una vistosa cicatrice a corrergli lungo la schiena. Un animale impressionante, che ha fatto venire i brividi anche a me. Appare nervoso e affamato e tutti si ritraggono al suo passaggio, facendogli spazio. Di nuovo, i cuccioli spariscono sugli alberi in un fuggi fuggi generale, scendendo, questa volta, parecchio tempo dopo. 2) Affamata, apro lo zaino e afferro, con il mio solito fare maldestro, un pacchetto di patatine… inutile dire come il rumore della carta, nel silenzio assoluto, abbia causato il panico generale tra i plantigradi e come io abbia rischiato il linciaggio da parte di Ale, che era nel pieno del suo estro fotografico.
La notte e l’alba
Abbiamo smesso di scattare solo quando ormai era diventato troppo buio per realizzare foto decenti, ma gli orsi non sono andati via. Dopo aver mangiato qualcosa approfittando del crepuscolo, ci siamo sistemati per la notte: per cercare di ripararci dalle correnti d’aria, Ale ha posizionato contro le finestre i tappetini da campeggio, mentre io ho infilato i sacchi a pelo uno dentro l’altro e ho aggiunto qualche strato di vestiti nel tentativo di salvaguardare un po’ di tepore.
Il rimestare degli orsi nell’acqua ci ha cullati fino a verso le 2. Il ritorno della quiete ci ha svegliati, giusto in tempo per farci ascoltare gli ululati dei nuovi arrivati… ma anche i lupi si sono presto allontanati, lasciandoci riposare.
Alessandro aveva puntato la sveglia alle 6, speranzoso di fare qualche foto con lo sfondo dei colori dell’alba; si è preparato, quindi, e si è rimesso in posizione, sempre armato di macchinetta. Io, invece, ho preferito continuare a sonnecchiare, senza la minima intenzione di tirare il naso fuori. Ale, nel frattempo, mi tiene aggiornata, informandomi che non si muove una mosca. Il meteo non lo assiste, perché cade una pioggerellina leggera. Mentre osserva il cielo, l’orizzonte si tinge di un rosso acceso e l’intensità della pioggia aumenta. Ma non è più pioggia… ora è una vera e propria tempesta di neve!
Mi alzo anche io e, seduti vicini, stretti stretti, sentendoci piccolissimi in quella remota vastità, osserviamo mentre ogni cosa si vela di bianco e tutto si fa ovattato, come in una favola.
La conclusione perfetta di una giornata che porterò con me tutta la vita e che sono grata di aver vissuto.
Anche se, nei minuti successivi, pensando alla piccola vettura che avevamo noleggiato e che era parcheggiata ai piedi di una ripida salita da imboccare obbligatoriamente, la gioia si è trasformata in un interrogativo ricorrente… “E ora come ce ne andiamo?” 🙂
LO ZAINETTO DI KALIPÈ
- Libro: Il migliore amico dell’orso, di Arto Paasilinna
- Sito web per capanni a Kuusamo: https://www.karhujenkatselu.fi/